È una delle mostre più attese dell’anno: fino a marzo sono in mostra nella Capitale alcuni dei dipinti più celebri dell’artista olandese.
Alla vigilia dei 170 anni dalla sua nascita, dall’8 ottobre 2022 Palazzo Bonaparte ospita la grande e
più attesa mostra dell’anno dedicata al genio di Van Gogh.
Attraverso le sue opere più celebri – tra le quali il suo famosissimo Autoritratto (1887) – sarà raccontata la storia dell’artista più conosciuto al mondo.
Nato in Olanda il 30 marzo 1853, Vincent van Gogh fu un artista dalla sensibilità estrema e dalla vita tormentata. Celeberrimi sono i suoi attacchi di follia, i lunghi ricoveri nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul in Provenza, l’episodio dell’orecchio mozzato, così come l’epilogo della sua vita, che termina il 29 luglio 1890, a soli trentasette anni, con un suicidio: un colpo di pistola al petto nei campi di Auvers.
Nonostante una vita impregnata di tragedia, Van Gogh dipinge una serie sconvolgente di Capolavori, accompagnandoli da scritti sublimi (le famose “Lettere” al fratello Theo van Gogh), inventando uno stile unico che lo ha reso il pittore più celebre della storia dell’arte.
La mostra di Roma, attraverso ben 50 opere provenienti dal prestigioso Museo Kröller-Müller di
Otterlo – che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di Van Gogh – e tante testimonianze
biografiche, ne ricostruisce la vicenda umana e artistica, per celebrarne la grandezza universale.
Un percorso espositivo dal filo conduttore cronologico e che fa riferimento ai periodi e ai luoghi dove il
pittore visse: da quello olandese, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St. Remy e Auvers-SurOise, dove mise fine alla sua tormentata vita.
Dall’appassionato rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza allo studio sacrale del lavoro della terra scaturiscono figure che agiscono in una severa quotidianità come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone o a scavare il terreno; atteggiamenti di goffa dolcezza, espressività dei volti, la fatica intesa come ineluttabile destino.
Tutte queste sono espressione della grandezza e dell’intenso rapporto con la verità del mondo di Van
Gogh.
Particolare enfasi è data al periodo del soggiorno parigino in cui Van Gogh si dedica a un’accurata
ricerca del colore sulla scia impressionista e a una nuova libertà nella scelta dei soggetti, con la conquista di un linguaggio più immediato e cromaticamente vibrante. Si rafforza anche il suo interesse per la fisionomia umana, determinante anche nella realizzazione di una numerosa serie di autoritratti, volontà di lasciare una traccia di sé e la convinzione di aver acquisito nell’esperienza tecnica una fecondità ben maggiore rispetto al passato.
È di questo periodo l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, presente in mostra, dove l’immagine dell’artista si staglia di tre quarti, lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore mostra un’insolita fierezza, non sempre evidente nelle complesse corde dell’arte di Van Gogh. I rapidi colpi di pennello, i tratti di colore steso l’uno accanto all’altro danno notizia della capacità di penetrare attraverso l’immagine un’idea di sé tumultuosa, di una sgomentante complessità.
L’immersione nella luce e nel calore del sud, a partire dal 1887, genera aperture ancora maggiori verso eccessi cromatici e il cromatismo e la forza del tratto si riflettono nella resa della natura. Ecco quindi che torna l’immagine de Il Seminatore realizzato ad Arles nel giugno 1888, con la quale Van Gogh avverte che si può giungere a una tale sfera espressiva solo attraverso un uso metafisico del colore.
E così Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy (1889) assume l’aspetto di un intricato tumulto, mentre lo
scoscendimento di un Burrone (1889) sembra inghiottire ogni speranza e la rappresentazione di un
Vecchio disperato (1890) diviene immagine di una disperazione fatale.
La mostra di Van Gogh a Palazzo Bonaparte
Il generoso prestito da parte del Kröller-Müller Museum di Otterlo consente di proporre un’importante
selezione di opere che documenta l’intero percorso artistico di Van Gogh.
A introdurre il visitatore nel viaggio emozionale e intimo tra i capolavori dell’artista, dipinti significativi di altri pittori testimoniano la ricchezza di una collezione costruita con amore da Helene Kröller-Müller che ha dedicato gran parte della sua vita alla realizzazione del Museo.
La Kröller-Müller, infatti, tra il 1907 e il 1938 mise insieme una raccolta senza eguali in Europa, che
comprendeva dipinti di Picasso, Gris, Mondrian, Signac, Seurat, Redon, Cranach, Gauguin, Renoir,
Latour e, naturalmente, Van Gogh. Fu colei che, prima di ogni altro, seppe apprezzare l’opera del
pittore olandese, a cui si sentì legata riconoscendo nella sua arte la sua stessa spiritualità personale e
non dogmatica.
Helene Kröller-Müller espose i quadri di Van Gogh in Europa e negli Stati Uniti incrementando, così, non
solo la fama dell’artista ma anche quella della propria collezione, gettando le basi per convincere lo stato olandese a partecipare alla costruzione del museo. Lavori che iniziarono nel 1937 e che videro, un anno dopo, l’apertura al pubblico del Museo con Helene nel ruolo di direttrice.
In questa sezione di apertura sono esposti alcuni capolavori della collezione, tra cui Portrait of a young
woman (The Madrilenian) di Picasso, In the café di August Renoir e Atiti di Paul Gauguin.
Da qui si entra nel vivo dell’esposizione, che segue un ordine cronologico e fa riferimento ai periodi e ai
luoghi dove Van Gogh visse: da quello olandese, al soggiorno parigino, a quello ad Arles, fino a St.
Remy e Auvers-Sur-Oise, dove ebbe fine la sua tormentata vita.