Dallo scorso 21 luglio e fino alla fine dell’anno, un’imperdibile rassegna itinerante tra i dodici comuni dei Monti Prenestini e Lepini della provincia di Roma, promossa dal consorzio ‘I Castelli della Sapienza’, interamente dedicata alla produzione artistica, giornalistica e cinematografica dell’indimenticabile poeta e romanziere friulano
La mostra ‘Cinema di poesia’, che fa parte della manifestazione ‘12 Comuni, 100 Pasolini’ promossa dal consorzio ‘I Castelli della Sapienza’ e realizzata con il contributo di Regione Lazio e Lazio Crea con il patrocinio di ‘Nuovo Imaie’ e in collaborazione con il Forum Europeo, ha preso il via lo scorso 26 luglio 2022 presso l’Aula consiliare del comune di Colonna (Rm), dove la mostra è risultata aperta al pubblico e a ingresso gratuito fino al 31 luglio. Alla serata inaugurale erano presenti tutti i sindaci e gli amministratori dei comuni del consorzio ‘I Castelli della Sapienza’. Successivamente, la mostra ha iniziato il suo tour espositivo nei comuni del territorio dei Monti Prenestini e Lepini, presso i comuni che fanno parte del consorzio ‘I Castelli della Sapienza’: Artena, Carpineto Romano, Cave, Colonna, Gallicano nel Lazio, Genazzano, Labico, Lariano, Paliano, Poli, Valmontone, Zagarolo. “Cinema, poesia, dibattito e scandalo: ventuno pannelli attraverso i quali, grazie al contributo di Lazio Crea e con l’impegno del consorzio ‘I Castelli della Sapienza’, abbiamo riportato l’attenzione su un grande intellettuale dello scorso secolo, in occasione dei cento anni dalla sua nascita”, ha commentato Angelo Rossi, presidente del consorzio ‘I Castelli della Sapienza’. “L’idea è quella di recuperare, seppur parzialmente, l’eredità artistica e intellettuale di Pier Paolo Pasolini, con l’obiettivo di suscitare l’interesse nei più giovani e di vivacizzare l’attività culturale all’interno dei comuni in cui verrà ospitata la mostra”.Il programma di ‘12 Comuni, 100 Pasolini’ è articolato in molteplici iniziative: rappresentazioni teatrali in tour itinerante nei 12 comuni del consorzio, tra cui: a) la prima nazionale de ‘La verità sta in molti sogni’ e la riproposizione di processi, denunce e verbali originali nello spettacolo: ‘Pasolini, un caso da riaprire’; b) un convegno di studi, dal titolo ‘Pasolini e la sua Roma’, con la partecipazione di docenti dell’Università La Sapienza; c) ‘Ad alta voce’: un reading di pagine scelte di Pasolini (poesie, racconti, sceneggiature, testi teatrali, interviste, polemiche). Le iniziative hanno la finalità di promuovere e diffondere la conoscenza, soprattutto tra le fasce giovanili, di uno dei più grandi artisti e intellettuali italiani della seconda metà del XX secolo. Una conoscenza che riguarderà tutta la produzione artistica del grande intellettuale friulano. Pier Paolo Pasolini è stato poeta, scrittore, drammaturgo, cineasta, critico-letterario, giornalista e polemista politico e della società. Dopo l’inaugurazione di Colonna, la rassegna è giunta a Labico e sarà in tour fino al 31 dicembre 2022, nei comuni di Carpineto Romano, Gallicano nel Lazio, Valmontone, Zagarolo, Poli, Lariano, Cave,Genazzano, Paliano, Artena. A margine dell’appuntamento inaugurale, abbiamo posto alcune domande ad Angelo Rossi, presidente del consorzio ‘I Castelli della Sapienza’.
Presidente Rossi, perché quest’iniziativa de ‘I Castelli della Sapienza’ dedicata alla poetica e all’arte cinematografica di Pier Paolo Pasolini?
“Innanzitutto, ci troviamo nel centenario della nascita di Pasolini: proporre una parte della sua produzione artistica e intellettuale era, quindi, un modo per tributare un grande intellettuale del secolo scorso. Ma non solo: la vastità della sua opera ci ha indotto a una profonda riflessione sul personaggio-autore e intellettuale e su quanto la sua figura abbia inciso nel dibattito dell’Italia post bellica. Un momento di totale cambiamento, nel quale lui intervenne con la sua ben nota vena polemica”.
La figura del poeta friulano è piuttosto complessa da rappresentare in una mostra: ritenete di essere riusciti a spiegare la difficile equazione ‘pasoliniana’, spesso in bilico tra cattolicesimo arcaico e razionalismo critico?
“No, perché questa mostra non si pone come obiettivo di ricostruire la vita e – soprattutto – l’opera completa di Pasolini: attraverso ventuno pannelli ci si focalizza essenzialmente sul cinema e lo si fa per ‘pillole’. Un obiettivo che avevo, sicuramente, era quello di suscitare un dibattito sull’autore, vivacizzando l’attività culturale soprattutto nei comuni che ospiteranno la mostra, soprattutto tra i più giovani che, presumibilmente, hanno una conoscenza meno approfondita dell’autore”.
Molti ritengono che Pasolini fosse un conservatore, contrario a tutto o quasi: lei cosa ne pensa?
“Solo nella tradizione è il mio amore” scrisse, una volta, Pasolini. Il quale, intervenendo in modo così provocatorio sui temi che guidarono l’Italia nel dopoguerra, era motivo di grande scandalo, per la società di allora. Penso non solo ai cambiamenti nei costumi, ma anche a come mutò la forma delle città – tema a lui carissimo – in seguito ai piani di urbanizzazione dei primi anni ’60 del secolo scorso. Si pensi, per esempio, a un suo articolo scritto nel 1975 in cui affermò che, già a quei tempi, non avrebbe più potuto girare un film come ‘Accattone’ del 1961, a causa di come le periferie furono stravolte da quei provvedimenti; di conseguenza, come cambiò la città, lo stesso accadde inevitabilmente anche per il sottoproletariato urbano di Roma. Tutto questo fa pensare a un conservatore, a una sorta di fustigatore e basta della politica di allora? Probabilmente, sono definizioni insufficienti: la sua critica si rivolgeva a una determinata forma di progresso e sviluppo. E le questioni sono molto più profonde: se dovessi essere costretto a racchiudere Pasolini in un parola userei ‘antimoderno’, piuttosto che conservatore”.
La sua visione era forse quella di ‘governare’ il disordinato e alquanto accelerato sviluppo dell’Italia verso la modernità?
“Sì, appunto: ritengo che Pasolini, più che ‘governare’ avrebbe, innanzitutto, contestato il concetto di ‘sviluppo’. La prima essenza dell’opera pasoliniana sta proprio qui: inserire elementi di fortissima polemica laddove, invece, il dibattito prevedeva toni entusiastici. Pasolini combatteva la modernità, perché sbarazzarsi della religione, delle tradizioni e dei valori apriva la strada al vuoto spinto del consumismo. Non era di certo il solo a sollevare queste voci polemiche. Eppure, di lui rimane una delle immagini più eloquenti: quella delle lucciole che scompaiono tra le luci delle nuove città”.
In fondo, l’Italia aveva anche dei ritardi e delle arretratezze da colmare in qualche modo: secondo lei, la critica di Pasolini al nostro modello di sviluppo era basata soprattutto sulle stridenti contraddizioni che il nostro Paese continuava a trascinare con sé?
“Certamente: un Paese in cui si stava definendo una nuova cultura e anche una nuova geografia – pensiamo alle dolorose migrazioni interne che vi furono all’alba del boom economico e che continuarono per lunghi anni – e che non si sviluppò di certo in modo uniforme”.
I lunghi decenni democristiani furono in continuità con il vecchio modello valoriale basato su ‘Dio, Patria e Famiglia’ mentre avrebbero dovuto puntare su una più originale presenza cristiana nella società? E come? Richiamandosi allo spirito missionario? Puntando sul volontariato? Affrontando terreni socialmente ostici?
“Va ricordato che le associazioni giovanili di Partito, compresa quella della Dc, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, ovvero nel momento storico che precede i contenuti della mostra ‘Cinema di poesia’, attraversarono anni di forte depressione a livello numerico e di adesione. Questo non perché i giovani non si interessassero alla politica: più probabilmente, la motivazione da ricercare sta nel fatto che i ragazzi si distaccano dalla politica del ‘Palazzo’ e ricercano nuove forme di aggregazione a livello politico. A livello nazionale, quale dovesse essere la linea della Dc è difficile da stabilire: i ‘terreni socialmente ostici’ sicuramente la Dc li affrontò, ma la ‘miccia’ dei movimenti giovanili e delle contestazioni, cui parteciparono anche molti intellettuali, si era ormai accesa. E ne emerse un quadro politico estremamente conflittuale. Ma visto che parliamo di Pasolini, ricordiamo anche un suo intervento specifico sulla questione, riportato negli ‘Scritti corsari’: “La cultura di massa non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica o patriottica: essa è, infatti, direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica tale da creare automaticamente un ‘Potere’ che non sa più cosa farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbie affini”.
Era meglio il Pasolini poeta, il romanziere o il regista cinematografico?
“Non credo sia possibile dividere ‘vari’ Pasolini: tutta la sua produzione è orientata a quella critica di cui stiamo parlando. Quindi, ritroviamo tracce dei suoi romanzi all’interno dei suoi film e delle sue poesie e dei suoi articoli. Il nucleo tematico originario viene cioé declinato in registri differenti, ma col medesimo mordente e con la sua profonda sensibilità”.
Il cinema di Pasolini da alcuni viene criticato per lo stile scarno, quasi amatoriale, oppure come la visione di un semplice epigono del neorealismo italiano, giunto con un certo ritardo all’essenzialità poetica: lei cosa ne pensa?
“È evidente che il cinema neorealista non si presti a una visione d’intrattenimento. Di conseguenza, non si dice “stasera, vediamo Mamma Roma” con la stessa leggerezza con cui si guarda una serie tv su Netflix, prodotto di massa e, quindi, con un contenuto più leggero. Il cinema di Pasolini è fatto di attori presi dalla strada, di ragazzi di vita che raccontano la borgata romana del tempo. Lo si vede, quindi, a scopo conoscitivo, quasi come uno studio sociologico della realtà del tempo, che accende un faro importante su vari aspetti: i luoghi di aggregazione dei ragazzi; i loro vestiti; le loro prospettive e, soprattutto, la lingua: un aspetto cruciale per Pasolini. Si pensi a ‘Comizi d’amore’: un importante reportage sull’Italia dei primi ’60, la cui visione, ancora oggi, è molto utile”.
Farete altre iniziative di questo tipo, in futuro, per ricordare qualche altro nostro ‘gigante’ della letteratura o del cinema, oppure dell’arte?
“L’anno scorso abbiamo celebrato il Sommo Poeta, nel ricordo dei 700 anni dalla morte di Dante. Quest’anno, ricordiamo Pier Paolo Pasolini. Ritengo che queste iniziative del consorzio ‘I Castelli della Sapienza’ siano molto importanti. Certamente, proseguiremo in questo percorso che non vuole essere celebrativo fine a se stesso, ma vuole dare strumenti di interpretazione, di analisi e di dibattito sul presente e sul futuro, in particolare ai giovani”.
Intervista di Vittorio Lussana