Intervista alla bravissima attrice e autrice che ci parla del suo spettacolo intitolato ‘Mobbing Dick’, presentato durante la scorsa estate 2021 nell’ambito della rassegna teatrale capitolina ‘Idee nello Spazio’, in cui ha vinto il premio come miglior attrice
Caroline Pagani è un’artista e un’autrice originale, raffinata e colta. Interprete e regista dei testi che scrive, i suoi spettacoli, arguti e divertenti, si distinguono per essere incentrati sull’attorialità e su una drammaturgia forte, per avere un proprio linguaggio e stile e un respiro internazionale: più ancora che in Italia, infatti, li porta in giro per il mondo e in più lingue. La scorsa estate, a Roma, presso il Teatro Lo Spazio, nel corso della rassegna ‘Idee nello Spazio’ ha vinto il premio come miglior attrice con ‘Mobbing Dick’: uno spettacolo originale e divertente, attualissimo, dove spazia con notevole disinvoltura dal comico al grottesco, dal brillante al drammatico, dal tragico al burlesque.
Caroline Pagani, innanzitutto che cos’è ‘Mobbing Dick’?
“Mobbing Dick è uno spettacolo dall’ironia graffiante, brillante e satirico, che mostra la condizione degli artisti nel mondo dello show business. Mobbing Dick è anche uno spettacolo mònito, che ho ideato per promuovere una riflessione, tra il serio e il faceto, sulla condizione delle artiste donne nel mondo dello spettacolo. Un’attrice si presenta a un’audizione per uno spettacolo teatrale sull’Eros. Sbarca al provino con una valigia piena di personaggi femminili ‘shakespeariani’, ma si imbatte in un Maestro diverso da come se lo immaginava. Un regista pochissimo interessato alle sue qualità artistiche e le cui derive filosofiche ritornano eternalmente ‘all’origine della vita’. La candidata cerca di ottenere la parte attraverso un personaggio ‘shakespeariano’, la casta Isabella di ‘Misura per misura’ di Shakespeare, novizia appena entrata in convento che ha un fratello condannato a morte per fornicazione. Va dal potente magistrato a chiedere la grazia per il fratello, ma lui gliela concederà solo se lei gli si concederà. Un gioco teatrale in cui personaggio e interprete si fondono e si confondono: il personaggio non può e non riesce a evitare del tutto il gioco galante del magistrato, mentre l’interprete non riesce a sottrarsi a quello, meno galante, del regista. Oltre a ciò, ‘Mobbing Dick’ è anche un congegno ‘meta-teatrale’, al cui interno viene in parte rivissuta la parabola di ‘Misura per misura’: finzione come realtà, per un excursus drammaturgico che trova riscontro in quella quotidianità dove il compromesso e lo scambio assurgono al ruolo di ineludibili leggi morali. I due si fraintendono continuamente. E i loro malintesi generano un succedersi di momenti dalla comicità esilarante e surreale, che mettono in luce una realtà affatto sconosciuta, né desueta, ma di cui nessuno parla. Ripropongono, in forma rapsodica, le mille facce di una realtà non certo ignota ma, ancora oggi, garbatamente taciuta e rimossa. Niente erotismo dei versi, niente orgasmo tramite l’estetica, fra i vari modi in cui si può esprimere il desiderio in scena. Per sfuggire alle continue umiliazioni che le riserva il regista, il personaggio individua quale unico possibile rifugio un’immersione totale nel suo mondo, quello del teatro e dell’attorialità allo stato puro. Una personalissima ricetta, per esorcizzare la dinamica del potere e del volere a tutti i costi, con finale a sorpresa. Solo che qui, purtroppo, l’attrice non sottomette il regista che l’ha umiliata e bistrattata, come in ‘Venere in pelliccia’, di David Ives. E non lo lega a un palo come pratica afrodisiaca, in un gioco erotico e sessuale, recitando versi delle “Baccanti”.
I suoi lavori hanno spesso a che fare con tematiche legate al teatro e a personaggi femminili. Nel mese che ha ospitato la Giornata internazionale dedicata a combattere la violenza sulle donne è emerso tutto un mondo sommerso sulla disparità di genere: discriminazioni, sessismo, ingiustizie nei confronti degli artisti, tutti temi che lei affronta e mostra nello spettacolo: perché?
“Nel nostro mondo, quando si fanno residenze, laboratori o prove di spettacoli non c’è posto per nient’altro che non riguardi lo spettacolo del momento. Non c’è lo spazio temporale, né tantomeno lo spazio mentale. E’ come se il mondo si fermasse: non esiste quasi più nulla e nessuno. In queste situazioni è come se si vivesse in una bolla: è una sorta di sequestro, per cui è plausibile che si creino anche delle infatuazioni, degli innamoramenti artistici o anche non solo artistici. Se si è in due, bene; se i due si piacciono, che si piglino nel modo in cui preferiscono. E’ l’abuso di potere, che non va bene: il ricatto, il ‘do ut des’, la minaccia, la vendetta. E l’omertà. Non si tratta tanto di sessualità, quanto di potere. E’ un discorso legato alla confusione fra potere e seduzione. Il mondo dell’arte è fatto da mestieri che hanno a che fare col desiderio, si prova un desiderio artistico che può essere confuso col desiderio sessuale. In teatro si lavora col corpo. E’ uno di quei mestieri di chi ha scelto anche il corpo come veicolo della propria arte. Ma questo si mescola al potere. La legislazione italiana sullo spettacolo e sulle donne è ancora molto arretrata, rispetto ad altri Paesi. Sono fenomeni che hanno a che fare con una dinamica di potere patriarcale. E, purtroppo, il sistema molto spesso è connivente con questo tipo di potere. Oggi, finalmente, queste cose non sono più lasciate sotto silenzio. Se ne parla: questo è interessante ed è già un notevole passo avanti. All’interno del settore è nato qualcosa: si è aperto un dibattito, si sono creati dei collettivi come ‘Amleta’, per esempio, affinché queste persone non si ritrovino sole e isolate. Naturalmente, è un problema che riguarda anche gli uomini. Lavorare con gli artisti è collaborare”.
La pandemia in che cosa e come l’ha cambiata come donna e come artista? Trova che abbia cambiato l’umanità?
“Personalmente, a essere più selettiva nella scelta delle amicizie, dei lavori, (quando si ha la possibilità di scegliere). Non dedico più il mio tempo a chi tradisce la mia fiducia: vorrei capire, sapere, provare tutto e subito, nel bene e nel male. Non è affatto vero, purtroppo, come prevedeva David Grossman, che dopo la peste saremmo tornati a essere umani: siamo diventati delle ‘belve’, ancora più feroci ed egoiste. Trovo che molte persone si siano ancor più incattivite, ‘incinicite’. Sembra che i confinamenti non siano serviti a niente: nessuno fa più nulla per il prossimo, anche quando, con pochissimo, potrebbe fare moltissimo, quando invece siamo tutti connessi. Ancor meno voglio avere rimpianti, ancor più preferisco i rimorsi. Insomma, la pandemia mi ha trasmesso una incitazione a vivere. Molti ne hanno paura, si tutelano dalle emozioni, dal rischio, ma per il nostro lavoro, per chi scrive e per chi recita, vivere è importante. Più vivi con pienezza e più è ricca la tua scrittura e più variegate diventano le tue possibilità e sfaccettature nell’interpretazione. Spesso, penso che ogni incontro, ogni conversazione, potrebbe essere l’ultima: la morte è tangibile, ma tutti continuiamo a comportarci come se fossimo eterni… Forse, c’è anche chi, per la prima volta, si interroga sulle scelte fatte, sulle rinunce, sui compromessi, sugli amori che non ha osato amare. Sulle scelte e sulla vita che non ha osato vivere. Come artista, forse, a fare le cose che prima non osavo fare. E infatti, le sto facendo”.
A quali progetti o lavori si sta dedicando?
“All’incisione delle più belle canzoni e testi in prosa e poesia di Herbert Pagani, che confluiranno in un cd (in cui ci saranno anche degli inediti, in più lingue) nel quale saranno coinvolti altri artisti, quelli che lo hanno conosciuto veramente e personalmente, che hanno davvero collaborato con lui (e non che ‘millantano’ collaborazioni, dicendo in tv cose che non possono essere smentite da chi non c’è più per nobilitare i propri prodotti artistici), che conoscono a fondo l’anima della sua arte e della sua poetica. E’ un progetto che ‘incubavo’ da molti anni, ben prima che uscissero i vari ‘omaggi’ alle canzoni di Pagani. Ovviamente, sto pensando anche a uno spettacolo. In Francia, dov’era molto popolare e non aveva problemi di censura, aveva creato un’opera pop, uno spettacolo, fatto di canzoni, testi, melologhi e scenografie che creava lui stesso, ‘Megalopolis’, sulla fine del mondo, sui pericoli dell’inquinamento, dei cambiamenti climatici, delle pandemie: da ecologista e pacifista quale era, aveva previsto molte cose. Avrebbe voluto presentarlo anche in Italia, nei teatri e nelle università. Inoltre, voleva realizzare uno spettacolo teatrale su Venezia, la cui salvaguardia gli stava a cuore. Su Venezia aveva girato un film, un pamphlet cinematografico che l’Unesco aveva scelto come mezzo d’informazione sui pericoli che minacciano la città e la laguna. Il film è una specie di ‘collage’: con una troupe era andato a Venezia, filmando panoramiche dove la laguna appare in tutto il suo splendore. Ma poi, avvicinandosi con la macchina da presa sempre più ai particolari, ne scoprì gli aspetti oscuri: la malattia che divora la città, le facciate dei palazzi che si sgretolano, le statue che perdono la loro fisionomia e diventano mostruose, l’acqua che sale e la invade. Il film era uscito solo in Francia, sotto il patronato dell’Unesco”.
E all’estero?
“All’estero, mi chiamano: sono loro a invitare i miei lavori. Guardano e valutano il tuo lavoro, non chi ti manda, chi sei o cose di questo genere. In Italia, è meglio avere qualcuno che ti dia una ‘spinta’. Purtroppo, direi che è quasi indispensabile. Sono stata invitata a portare i miei lavori nel Nord Europa e in Macedonia. Quest’estate, pandemia permettendo, dovrei portare un mio spettacolo allo Shakespeare Festival del National Theatre di Bitola, in Macedonia. E un altro in Polonia”.
Collaborazioni a parte, Lei fa spesso tutto da sola, ‘one-woman-shows’, di cui cura ogni aspetto, scena, costumi, luci: quando sarà possibile tornare a viaggiare come una volta, non le peserà? Non ha mai pensato di trovare un socio o dei soci? Ci sono esempi di unioni fruttuose, in cui si condividono vita e arte…
“Certo. E’ faticoso e mi piacerebbe poter viaggiare sempre almeno con un tecnico, a volte con una compagnia, altre volte in due, ma mai quanto la distribuzione. E’ anche più facile sostenere e distribuire i lavori altrui che i propri e, in due o più, spesso ci si sostiene e ci si fa forza. Vita e arte potrebbe anche essere bello e alleggerire psicologicamente l’impegno, ma ognuno a casa propria, come Woody Allen e Mia Farrow. E’ importante che ognuno abbia i propri spazi: lo stare insieme dev’essere una scelta che si rinnova ogni volta e non imposta dalle circostanze o dalla quotidianità, che invece va evitata. Mi piace tanto lavorare in gruppo, quanto da sola: è che da sola almeno so che su di me posso contare. Si può creare bene, anche e soprattutto da soli. Il pittore Romantico Caspar David Friedrich, lo dice nei suoi ‘Scritti sull’arte’: “Quell’io che desideri non può stare con te. Ho bisogno di stare solo con le mie montagne, per poter dipingere il cielo…”.
Come autrice, regista, scenografa e costumista dei suoi spettacoli, di che cosa si è nutrita?
“Di vita, ci si nutre soprattutto di vita. Gli artisti attingono nei modi più disparati da mondi anche lontani fra loro, negli ambiti più diversi. Mi sono nutrita di testi: testi sviscerati, ribaltati, decostruiti, ricostruiti, di filosofia (sono laureata in Filosofia con tesi in Storia del Teatro e dello Spettacolo), di lingue, sonorità, musicalità, di uno studio continuo sulla voce e le sue potenzialità, ma anche di storia dell’arte, pittura, immagini, improvvisazioni, clown, fantasia, sogni, inconscio, psicanalisi, immaginari. In scena, a parte i partner reali (bamboli, puppets, manichini) immaginare il fantasma di un personaggio, o rendere palpabili personaggi immaginari che non sono lì in carne e ossa, è più stimolante. Entrare in questi personaggi vuol dire entrare dentro l’altro, appropriarsene e farsi attraversare, lasciarsi possedere: è una forma di seduzione. La seduzione non è tanto l’atto, quanto tutto ciò che viene prima: prima di un appuntamento, prima di un bacio, prima di un amplesso. Poi, certo, anche il come ha il suo perché… Credo sia importante avere un linguaggio proprio, non imitare quelli altrui, se non per parodiare (la parodia, se ben fatta, è una forma interessante e intelligente di rappresentazione perché centra, va al cuore, coglie e distilla tutto), condividere le proprie peculiarità. Mi piace tanto far ridere, far ridere tutti, ma tutti tutti. E ridere insieme, insieme al pubblico, nel noi”.
Intervista di Vittorio Lussana