In occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni e della società dell’informazione, la docente di Sociologia dei diritti umani presso l’Università di Perugia, membro del Comitato di coordinamento dell’University Network for Children in Armed Conflict (Unetchac) ci spiega quali nuove tecnologie e forme di networking vengono oggi utilizzate al fine di proteggere l’infanzia nei conflitti armati
Quest’anno, la Giornata mondiale delle telecomunicazioni e della società dell’informazione – istituita dall’Onu il 17 maggio 2006 al fine di sensibilizzare e divulgare le possibilità che l’uso di internet e altre nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Ict) possono apportare alle società e alle economie globali – quest’anno cade in un contesto dominato dalle guerre che ci sono più o meno vicine. Nell’interconnessa società del XXI secolo, infatti, il web e i social media sono gli spazi virtuali e aperti dove si scambiano informazioni e comunicazioni riferite a questi conflitti, correndo talora il rischio di generare, a loro volta, un’ulteriore catena di violenza verbale e terminologica che ricade a danno dei civili vittime dei conflitti e ai giovani fruitori delle ‘piazze’ virtuali. Com’è possibile, allora, sviluppare un’adeguata comunicazione riferita alle situazioni di conflitto armato? E come promuovere e sostenere progetti di formazione e cooperazione anche attraverso l’impiego delle nuove tecnologie, contribuendo a sensibilizzare, in particolare i giovani? Un modello di successo in tal senso è rappresentato dall’Universities Network for Children in Armed Conflict – Unetchac: unarete di circa cinquanta università e istituti di ricerca che lavorano in tutto il mondo per proteggere i bambini che, in forma diretta o indiretta, subiscono situazioni di conflitto armato. Attività di analisi e ricerca accademica o scientifica; settimane accademiche; scuole e corsi di formazione e specializzazione; seminari e tavole rotonde; eventi culturali e artistici: queste sono solo alcune delle iniziative portate avanti con successo dal network, soprattutto in modalità virtuale, sin dalla sua istituzione, avvenuta il 16 novembre 2020. Oggi, prendendo anche ‘spunto’ dal conflitto bellico esploso in Europa orientale, l’Unetchac sta coordinando il lavoro di esperti del mondo giuridico e accademico e sta lanciando una ‘task force’ che, spiega Laura Guercio, “dall’Italia all’Ucraina, dall’Europa agli Stati Uniti, intende analizzare le norme e i meccanismi processuali ucraini e internazionali e studiare tutte le possibilità di ‘dialogo’ tra i diversi meccanismi d’indagine per garantire protezione dei civili e la giustiziabilità dei crimini commessi”. Proprio tali carenze di dialogo tra le parti, che sembrano rendere difficile ogni possibilità di un ‘cessate il fuoco’ in Ucraina, abbiamo cercato di capire quali idee e iniziative si stanno avviando in alcuni importanti ‘ambienti’ istituzionali e internazionali.
Laura Guercio, può spiegarci, innanzitutto, com’è possibile utilizzare gli strumenti tecnologici per favorire la cooperazione e lavorare, in particolare, con i giovani e per i giovani?
“Ormai, la comunicazione si svolge attraverso processi mediatici molto diffusi e veloci. Questo può essere, da una parte, un bene, ma dall’altra può anche avere conseguenze negative sulla capacità di acquisizione e rielaborazione dei dati informativi. E’ un bene, perché ovviamente la tecnologia supera i limiti spaziali e agevola la creazione di network, di reti e associazioni nel lavoro. Tuttavia, dobbiamo anche rilevare che, in qualche maniera, viviamo in una società in cui siamo soggetti a un continuo ‘bombardamento’ di notizie, molte delle quali di difficile verifica circa la loro veridicità e le loro fonti. Non si ha più il tempo di rielaborare, su tali notizie, concetti e pensieri, proprio perché a una informazione succede immediatamente un’altra, magari diversa e contrastante. Ciò crea certamente disagio e, alla fine, anche non conoscenza o scarsa consapevolezza di quello che ci accade intorno. Se ciò è vero per gli adulti, è ancora più vero per i giovani, che si trovano in quella fase della vita di costruzione delle categorie mentali di giudizio. E’ indubbio che i nuovi strumenti tecnologici abbiano, in sé, un potenziale enorme e positivo, se usati correttamente, come per esempio nella creazione di una comunità senza limiti di spazio, in grado di sviluppare idee, progetti, azioni. Le nuove tecnologie di comunicazione possono, cioè, creare una nuova ‘agorà’ di dibattito, di analisi, di riflessione. E questo è estremamente importante. Poiché, però, diversamente dall’agorà fisica, non vi è la possibilità di sviluppare le stesse modalità di confronto e dibattito ‘de visu’, occorre anche apprestare le cautele necessarie per garantire che il diritto alla informazione, a informare e a essere informati, volga davvero alla formazione costruttiva dei membri di una comunità, soprattutto dei giovani. Solo se si garantisce questo, gli strumenti di cooperazione messi a disposizione grazie alle nuove tecnologie possono avere un impatto positivo nella società”.
Sappiamo che avete anche ‘lanciato’, di recente, l’idea di una ‘task force’ per proteggere i civili in Ucraina, agendo soprattutto da un punto di vista giuridico: come è nata tale iniziativa e attraverso quali modalità state portando avanti questo lavoro?
“Sì, è così: a fronte del perpetrarsi in Ucraina di gravissime violazioni del diritto umanitario, il mondo giuridico e accademico ha lanciato una ‘task force’ che, dall’Italia all’Ucraina, dall’Europa agli Stati Uniti, analizzerà le norme e i meccanismi processuali ucraini e internazionali e studierà il ‘dialogo’ tra i diversi meccanismi di indagine. L’obiettivo è quello di garantire la protezione dei civili e la ‘giustiziabilità’ dei crimini commessi. Un lavoro che coinvolge docenti e ricercatori, giudici e giuristi, sia ucraini, sia più genericamente internazionali. Il progetto è promosso dall’Universities Network ‘Unetchac’. Oggi, la ‘task force’ è attiva e sta già elaborando strategie operative e raccomandazioni che verranno rivolte alle istituzioni nazionali e internazionali. La ‘squadra’ è divisa in 3 gruppi di lavoro: il primo ha l’obiettivo di mappare i meccanismi di investigazione di cui la comunità internazionale dispone. Per esempio, possiamo richiamare il ‘Moscow Mechanism’ dell’Osce, definito nel 1991; nel secondo gruppo si sta elaborando uno studio per analizzare se e come le legislazioni nazionali degli Stati della Ue abbiano recepito, nel loro sistema penale, i crimini previsti dallo Statuto di Roma. Non in tutti i Paesi, infatti, sono previsti reati come i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità e il genocidio. Questo ha una incidenza di fatto nella ‘processabilità’ dei responsabili che si trovino sul territorio di uno Stato carente di tale normativa; infine, il terzo gruppo si propone di rendere omogenee le misure di accoglienza per minori non accompagnati nell’Unione. Vi sono, infatti, molte lacune e discrasie nella prassi”.
Fino a che punto vi servite delle nuove tecnologie per realizzare i progetti a cui lavorate, ‘task force’ inclusa, ovviamente?
“I social media sono stati – e sono – molto rilevanti nel comunicare le azioni del network. Confesso che io non sono social, come si dice di questi tempi, ma mi rendo conto che, attraverso i nuovi canali mediatici, si raggiungono destinatari che difficilmente, o con tempistiche diverse e più lunghe, sarebbero stati raggiunti con i sistemi di comunicazione tradizionali. Questo ormai l’ho appreso grazie al gruppo di lavoro del network, costituito da persone molto più giovani di me e con più dimestichezza delle nuove tecnologie. Per questo motivo, ringrazio Elena Rossi, Chiara Giuria, Simona Lanzellotto, Giovanna Gnerre e Cecilia Senesi: grazie al ‘team’ di queste giovani donne che lavorano per il network, è stato possibile che l’impegno e le attività della ‘squadra’, ma soprattutto i drammi su cui il loro lavoro si sta concentrando, venissero conosciuti e condivisi su larga scala. Quello che conta è sviluppare conoscenza e consapevolezza della situazione che vivono i bambini in situazione di conflitto armato. E, da persona ‘non social’, ho capito quanto queste piattaforme possano essere importanti, in tal senso. Anche per la ‘task force’ in Ucraina che abbiamo lanciato, la condivisione della notizia ci ha permesso di avere riscontri e commenti importanti e costruttivi, che considereremo nel nostro lavoro. Un lavoro è tanto più efficace quanto più riesce ad ascoltare le diverse voci. Le quali, ovviamente, devono poi trovare una sintesi che, nel nostro caso, si forma soprattutto attraverso strumenti tecnico-giuridici”.
Recentemente, state anche lanciando un corso avanzato di specializzazione dal titolo ‘International criminal jurisdiction and children in armed confict’, rivolto ad avvocati, esperti legali e a coloro che intendono lavorare nell’ambito del diritto internazionale. Questa iniziativa, che avrà inizio l’8 giugno 2022, è realizzata in collaborazione con il Law International, lo studio legale Cataldi e l’International Criminal Bar (Icb): qual è la finalità e l’innovazione di questo percorso di alta formazione?
“Scopo del corso è quello di contribuire a sviluppare le competenze necessarie affinché gli avvocati possano difendere e rappresentare i bambini coinvolti nei conflitti armati, a vari livelli e innanzi alle giurisdizioni internazionali, in particolare la Corte penale internazionale (Icc). I minori, laddove coinvolti in un percorso processuale volto ad accertare i crimini previsti dallo Statuto di Roma, hanno, proprio per la loro età, esigenze diverse rispetto a quelli degli adulti. Allo stesso modo, dobbiamo tener conto anche degli aspetti di genere: sia i bambini, sia le bambine possono essere coinvolti in situazioni drammatiche durante un conflitto armato, ma per le bambine vi sono aspetti legati al ‘genere’ che non possono essere non considerati. In merito all’organizzazione scientifica e organizzativa di questo corso, vorrei ringraziare l’importante contributo dell’avvpcato Paolina Massidda, capo dell’Ufficio vittime della Icc; i molti funzionari e giuristi della Icc, che interverranno come docenti al corso insieme ai professori del Network, tra i quali, per citarne alcuni, il professor Fausto Pocar e il professor Sergio Marchisio. Credo che questa sia un’area della formazione di cui, in qualche maniera, c’era proprio bisogno, in un momento peraltro in cui la giustizia internazionale è sempre più invocata. Dalla fine della Seconda guerra mondiale sino a oggi, abbiamo sviluppato importanti istanze giurisdizionali internazionali. Da ultimo, per l’appunto, la Corte penale internazionale. Gli strumenti processuali li abbiamo in campo da tempo, oramai: tutti noi dobbiamo ora impegnarci, perché gli stessi funzionino sempre e in maniera efficace, per garantire una giustizia effettiva e tempestiva”.
Quali sono le prossime iniziative che andrete a realizzare e a chi si rivolgeranno?
“Tante: attività di ricerca, formazione, organizzazione anche di esibizioni artistiche. Infatti, per noi l’arte è un veicolo universale di comunicazione: una ‘lingua franca’. Così come lo sono e debbono essere considerati i diritti umani. E certamente, ogni nostra attività continuerà a essere diffusa anche grazie all’importante contributo delle nuove tecnologie di comunicazione”.
Intervista di Vittorio Lussana